Sono andata a vedere il film The Martian – Il Sopravvissuto che è uscito nelle sale italiane il 1° ottobre.
Non perderò troppo tempo in giri di parole, e dirò subito che mi è piaciuto molto per ricostruzione, approccio al mondo astronautico e dell’esplorazione spaziale. Gradevole nello scorrimento della storia. Personalmente ho trovato pochi i momenti ”morti” dove il film avrebbe potuto perdere il ritmo e scadere in retorica narrativa o banalità cinematografica.
Si intenda, non voglio convincere nessuno di cosa è o non è il film di Ridley Scott; semplicemente questo che segue è il mio punto di vista.
Non intendo spoilerare tutta la trama, ma per coloro che non volessero farsi rovinare la storia da chi ha già visto il film, forse è meglio che non proseguano nella lettura.
Con The Martian l’umanità è già arrivata su Marte, la storia parte quindi da una colonizzazione già avviata.
La missione Ares III è costretta a rientrare a causa di una tempesta di sabbia improvvisa e molto forte; in condizioni proibitive la misisone viene abortita e il gruppo abbandona la base sita nella Acidalia Planitia (luogo reale del suolo marziano alle coordinate 49°48?0?N,339°18?0?E ) sul pianeta rosso e salgono sul vettore che li porterà in orbita al rendez-vous con l’astronave Hermes per il rientro sulla Terra.
Nel forte vento della tempesta, l’astronauta, Mark Watney (Matt Damon), viene colpito da una delle antenne di comunicazione staccatasi all’improvviso dai supporti; viene dato per disperso e poi conseguentemente morto. Il gruppo rimasto, riprende la via per casa.
Ma Watney non è morto.
Il sopravvissuto, impossibilitato a chiamare la Terra per via della rottura dell’antenna delle comunicazioni, deve ingegnarsi a restare vivo; cercare di comunicare di esserci ancora e sperare nell’arrivo dei soccorsi.
Questo si può dire l’inizio e non racconterò oltre.
Dove il regista Ridley Scott vuole andare a parare, lo si capisce fin dall’inizio; questo però non rovina la trama o lo scorrimento della storia.
Non è una racconto di fantascienza, come invece lo è stato il film INTERSTELLAR, per quanto anche questo abbia avuto molti spunti realistici.
Qui siamo nel campo del fattibile, le assurdità non sono il filo conduttore per togliere il protagonista dagli impicci. Solo una scena ho trovato personalmente poco realistica, non tanto per quello che il personaggio stesse facendo, ma per come lo facesse.
Mi spiego meglio: solitamente, durante le passeggiate spaziali si può notare come gli astronauti reali si ancorino a dei corrimano esterni dei moduli, tramite dei moschettoni, (soprattutto nelle EVA sulla ISS), questo per garantire agli stessi la necessaria incolumità in modo da non allontanarsi dalla Stazione Spaziale; inoltre, consente loro di avere le mani libere per lavorare in tutta sicurezza. Bene, nel film, l’astronauta Chris Beck percorre mezza astronave in esterna senza questo tipo di ancoraggio di sicurezza. Potrei giustificare il tutto con il fatto che il momento richiedeva una certa rapidità da parte del personaggio, cosa che non avrebbe avuto se avesse dovuto spostare continuamente i moschettoni per garantirsi l’ancoraggio; ma tant’è: se hai fatto il corso di astronauta alla NASA (come si presume nella realtà) lo sai, se il corso di astronauta lo hai fatto con le Giovani Marmotte allora posso capire la svista!!!!
Questa cosa può sembrare un’inezia, ma siccome fino a quel momento la precisione narrativa è stata abbastanza buona (o quanto meno ci si è voluti andare vicino), è un peccato averci inserito questa “assurdità”, che per altro non inficia la bellezza generale della storia. Perdoniamo Ridley Scott….ci mancherebbe altro!
Un’altra cosa che mi piace sottolineare è la colonna sonora. Spesso ricreata ad arte, altre volte presa in prestito usando canzoni famose; ciò non di meno, gradevole e ben inserita nelle immagini. Davvero lodevoli le scelte delle musiche. Non mi dilungo oltre su questa cosa, perchè è bello sentirle al momento…..
Questo film vuole raccontare un dramma, ma non mancano gli spunti ironici. Siamo umani e restiamo umani anche in questi situazioni. La professionalità, per quanto elevata in lavori altamente rischiosi come questo, non è così ingombrante da togliere spazio alla battuta o alla situazione sarcastica. Soprattutto quando lo stress si stempera.
Una scena esemplare può essere quando la foto del sopravvissuto su Marte, viene volutamente fatta con la stessa posa plastica di Fonzie con i pollici alzati in un proverbiale OK marziano.
Perchè quando le difficoltà si superano e la tensione si allenta, si ha voglia anche di scherzare, ridere, si ha voglia di normalità!! E spesso traspare questa voglia….
Traspare quando il protagonista riposa sul letto e nello schermo del pc parte la sigla di Happy Days. Quando ascolta la musica, non solo nella base, ma anche sul rover, mentre guida sul territorio marziano, come si farebbe per una qualunque strada di compagna, lasciandosi trasportare dalla musica e ciondolando a ritmo di musica.
La normalità nel mandare delle e-mail … nella ricerca di un contatto umano, mancato per troppo tempo.
Scott però aggiunge molto altro a questa storia, dove davvero gli spunti non mancano.
L’importanza di lavorare in squadra, è di fatto una presenza costante.
Non è una cosa marginale. Come sottolineò già all’epoca Ron Howard con il film Apollo 13, anche in The Martian la cooperazione è fondamentale per risolvere una situazione diventata esplosiva. Non solo, la competenza degli addetti alla missione è importantissima, ma lo anche la collaborazione con gli addetti di altre missioni, lontani nel tempo e nello spazio. Tutto si compenetra, si incastra…perfettamente!
E’ così che il team del JPL preposto al controllo della Missione Pathfinder arrivata su Marte nel 1997, possa essere determinate per i contatti fra la Terra e il disperso.
E lontano nello spazio; è così che la NASA si trova ad accettare l’aiuto dei cinesi per usufruire di un loro propulsore che permetterebbe di portare rifornimenti su Marte. Il messaggio in questo caso è molto chiaro. Quando un gruppo di persone lasciano la Terra, è l’umanità in sé che affronta questa missione e non i cinesi o gli americani o altro. Nello spazio, le barriere si abbattono e siamo più uguali di quanto non pensiamo. Siamo noi….. siamo l’umanità. E li siamo soli….perchè (per dirla con le parole del protagonista Watney): “E’ LO SPAZIO…E NON COLLABORA!” Dobbiamo aiutarci fra di noi…o è la fine!
Nel film ci sono calcoli matematici e formule chimiche, così come botanica e meccanica orbitale. Non è fantasurreale! È un come potrebbe essere…un domani…durante un viaggio dell’uomo su Marte, perchè è questo il prossimo obbiettivo concreto su cui si stanno concentrando alcune agenzie spaziali.
Certo la componente della “disgrazia” in sé e per sé deve essere presente altrimenti diventa un docufilm, che hanno comunque il loro interesse, ma non avrebbero il dovuto richiamo di una tragedia interplanetaria macerata in salsa hollywdiana!!!
In un certo senso, mi è venuto facile accostare questo film a INTERSTELLAR, forse per la vicinanza temporale dei due film (novembre 2014 per il film di Nolan) e per argomento trattato, ma la cosa risulterebbe troppo generalistica. Forse anche perchè Matt Damon ha lavorato in entrambi i film e sempre nei panni di una astronauta disperso…
C’è un distinguo, però…..
Prima di tutto le due menti che si celano dietro la regia dei due film.
Mentre Scott si approccia in modo … potrei dire…informale all’argomento, pur mantenendo realistica la storia; per Nolan, regista di INTERSTELLAR, la cosa è diversa. Nolan è più cupo e intimista (basti ricordare le atmosfere oscure del suo Batman). Nolan è preciso, maniacalmente attento ai dettagli: le astronavi di Nolan non emettono suono nello spazio nelle “riprese” in esterna. Quelle di Scott si…. Perdoniamo la svista anche in questo caso!
In INTERSTELLAR infatti, la soluzione finale non appoggia su basi concrete, sul “COSA SI FA MATERIALMENTE PER TORNARE A CASA”. A salvare la situazione interviene il sentimento; l’amore forte fra padre e figlia risolve buona parte del dramma.
Nel film THE MARTIAN sono le azioni concrete che determinano il buono (o il cattivo esito) della missione. Il sentimento c’è, ma è in secondo piano.
Il futuro di Nolan è auspicabile, ma ad ora non attuabile; il futuro di Scott è immediato e concreto. Di conseguenza anche la caratterializzazione dei personaggi rispecchia questa cosa.
Nolan crea personaggi che operano in modo indipendente, ma di fatto insieme creano la storia, come in una jazz band. Per Scott, i personaggi sono più una rock band; hanno bisogno del ritmo e della melodia degli altri per creare la “storia”, sono meno indipendenti l’uno rispetto all’altro. Non dialogano fra di loro, per Scott i personaggi sono aggrappati fra di loro.
E infatti chi va in solitaria, non spicca molto (magari anche perchè l’attore non riesce a entrare a pieno nel personaggio); in merito a questo c’è solo un ruolo che mi ha deluso: il comandante della missione Melissa Lewis interpretata dall’attrice Jessica Chastain. Forse l’attrice non è riuscita a entrare completamente nella parte, ma a tratti mi sembrava sforzata e poco inserita nel personaggio. Forse l’unica nota negativa del cast.
Per il resto ho visto giovani attori ben inseriti nel ruolo, accanto a navigate glorie quali Sean Bean (l’attore che interpretava Boromir nel Signore degli Anelli) oppure Jaff Daniels (Harry Dunne in Semo più Scemo).
A Bean spetta il ruolo di capo degli astronauti in missione, il cui interesse e scopo è la loro incolumità, prima delle loro effettive mansioni. Simpatica una gag che riguarda il suo personaggio e di riflesso anche l’attore, nel momento un cui si parla del PROGETTO ELROND!!!
A Daniels spetta invece il compito di interpretare il capo della NASA (nella realtà il ruolo spetta a Charls Bolden, ex astronauta e ora amministratore dell’agenzia spaziale americana). Il personaggio di Daniels è autoritario e guardingo, non ama esporsi a rischi inutili. Convincente nel suo ruolo.
E ovviamente Matt Damon. Già nei panni dell’astronauta Dr. Mann in INTERSTELLAR, qui Damon ha il ruolo del protagonista. Regge molto bene la sua condizione di disperso; personalmente l’ho trovato convincente nelle espressioni emozionali che si alternano fra gioia e tristezza: un’alternanza d’obbligo fra i successi di idee bislacche e gli imprevisti che complicano l’intero quadro generale. Sicuramente convincente la sua interpretazione di astronauta in “panne” che deve cavarsela da solo come un novello boyscout perduto dal gruppo.
Infine ho notato una simpatica e leggerissima somiglianza in alcune inquadrature, fra l’attore Sebastian Stan, che nel film interpreta l’astronauta Chris Beck e l’astronauta danese Andreas Mogensen di recente tornato da una breve missione sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Questo film mette in evidenza anche un’altra cosa molto importante: l’ingegno umano. La capacità di provare e spesso riuscire a risolvere situazioni che normalmente sembrerebbero montagne insormontabili. Osa, osiamo… ed è così che le soluzioni ai problemi diventano sempre più complesse e di riflesso sempre più rischiose. Soluzioni che non passerebbero per l’anticamera del cervello di nessuno dotato di buon senso, diventano imprvvisamente l’unica via percorribile per aver salva la vita. Perchè con le giuste conoscenze, i problemi si possono risolvere non solo per il bene di pochi, ma anche per il bene di tutti.
Il film è tratto dal libro L’UOMO DI MARTE scritto da Andy Weir. Inizialmente autopubblicato come ebook nel 2011, ha trovato la stampa al grande pubblico con Crown Publishing all’inizio del 2014. In Italia è pubblicato da Newton Compton Editori.