Buco nero in Orione?
Lo studio è stato pubblicato sul Astrophysical Journal il 1°novembre 2012 ed è il risultato di una serie di studi sul comportamento della materia all’interno della Nebulosa di Orione (M 42). Ancora non è confermato, ma lo studio indicherebbe che i modelli matematici spiegherebbero il comportamento della materia all’interno della nebulosa solo con la presenza di un buco nero che ne condiziona i moti interni.
Lo studio è stato condotto da Ladislav Subr della Charles University di Praga e dal suo team di ricercatori attraverso l’ausilio di un modello matematico che spiegasse il comportamento della materia e lo spostamento delle stelle in quella zona. Soprattutto nella zona del Trapezio, ovvero di quelle 4 stelle molto luminose che costituiscono il centro della nebulosa M42. Queste stelle sono delle neonate di 2 milioni di anni circa e la polvere che le circonda è l’esubero della materia prima usata per “formarle“! Normalmente in queste situazioni si osservano sia stelle piccole che stelle di grandi dimensioni in una quantità più o meno bilanciata, ma anche qui c’è un’anomalia: le stelle di grande massa sono presenti in un numero troppo ridotto per la grandezza dell’ammasso aperto quale è quello del Trapezio. L’assenza di queste stelle è un’anomalia strettamente collegata con la velocità di spostamento delle stelle che formano l’ammasso aperto. Data l’assenza di stelle massicce come è possibile che queste stelle nel Trapezio abbiano un moto proprio così veloce, se nessuna stella più grande le spinge via?
Nel modello matematico si è ricostruita M 42 agli inizi e si è notato che le stelle più massicce hanno convogliato verso il centro della nebulosa, dove probabilmente risiedeva una stella più massiccia delle altre, ma soprattutto altamente instabile. Mentre inizialmente le stelle più massicce emettevano un vento stellare molto potente tanto da spingere via le stelle più piccole, le più grande si avvicinavano fra loro fino a quando la più instabile è implosa in un buco nero di 200 volte più grande del Sole!!! Queste sembrano le stime di questo motore nascosto che starebbe facendo ruotare la materia all’interno della nebulosa.
Gli scienziati hanno dichiarato che: “Questo studio ci aiuterà nella nostra comprensione di come le stelle massicce si formano e come tali ammassi stellari molto ricchi di materia si schiudano dai loro bozzoli gassosi. Avere un enorme buco nero quasi in casa nostra, sarebbe una possibilità eccezionale per dedicarsi allo studio di questi oggetti enigmatici.” (Fonte: earthsky.org )
Varie ed eventuali.
1. Il 13 dicembre 2012 la sonda cinese Chang’e 2 ha fatto un flyby ravvicinato con l’asteroide Toutatis che è passato proprio in quei giorni ad appena 7 milioni di km dalla Terra (fortunatamente adeguatamente ignorato dai catastrofisti dell’AveMaya). La sonda si è trovata ad appena 3,2 km dalla superficie di Toutatis, ma le foto attualmente diffuse sono state scattate in una distanza compresa fra i 93 e 240 km durante l’avvicinamento della sonda all’asteroide. La sonda Chang’e 2 ha così portato a casa il suo 3° risultato positivo dopo aver effettuato uno studio sulla Luna e dopo aver raggiunto il punto L2 (cioè il punto Lagrangiano in cui le forze gravitazionali di Terra e Sole si equilibriano a 1,5 milioni di km dalla Terra).
Il NEO (Near Earth Object) Toutatis ha un diametro di circa 5 km e sembra composto da 2 parti ben distinguibili: la sezione più piccola pare essere più densa del 15% rispetto alla più grande. Si ipotizza si tratti di due asteroidi che si sono fusi insieme quando si trovavano nella fascia principale degli asteroidi e questo ha lasciato a loro in eredità anche una traiettoria difficilmente prevedibile e un moto rotatorio su se stesso. Ricerche fatte su questo oggetto scongiurano uno scontro per almeno qualche centinaio d’anni con il nostro pianeta; tuttavia è uno fra i più grossi NEO che si avvicinano al noi. Toutatis ha una periodicità di 4 anni. (Fonte: media.inaf.it )
2. Secondo uno studio dei ricercatori del Jonathan Swift del California Institute of Technology (Caltech) a ogni stella corrisponderebbe un pianeta. Ma sarebbe con buona probabilità una stima a ribasso! I satelliti preposti alla ricerca di esopianeti Kepler per primo), stanno dimostrando come questi oggetti celesti siano più comuni e numerosi di quanto non si immagini. Ovviamente dal dire che ogni stella ha in se un sistema solare ce ne passa (molti hanno come compagni pianeti diversissimi dal nostro e con dinamiche che non sono paragonabile al Sole e ai suoi pianeti). La stima fatta dai ricercatori su basa sullo studio della stella Kepler 32 che ha 5 pianeti confermati che ruotano attorno. Le orbite dei pianeti sono viste di taglio, questo permette di osservare il calo di luminosità ogni volta che uno o più pianeti transita davanti alla stella. Dato che Kepler 32 è una stella di tipo M ovvero più piccola del Sole, e questo tipo di stella è fra le più comuni nella Via Lattea, la stima è presto fatta.
Per coloro che volessero dilettarsi nella caccia di esopianeti, ricordo che il team di Kepler ha messo in rete moltissimi dati relativi ai grafici di stelle catturati da Kepler e su cui il pubblico del web è chiamato a dare il suo giudizio su un eventuale transito di un pianeta o meno davanti a una data stella. Il sito è PLATET HUNTERS e lo trovate a questo link. E’ necessaria una registrazione al sito.
3. E’ capitato che nel corso dei milioni di anni di convivenza fra i vari pianeti del Sistema Solare, tra alcuni di essi ci fosse un proficuo scambio di meteoriti, come per la Terra con Marte. Spesso è capitato che rocce scagliate nello spazio a causa di impatti violenti viaggiassero fino a cadere su un altro pianeta! Questo comportamento ormai è stato assodato e sulla Terra vantiamo la presenza di ben 110 meteoriti provenienti direttamente da Marte. Molte sono state recuperate ai Poli (dove le caratteristiche dei luoghi facilitano l’individuazione); diverse ne sono state recuperate anche nel Nord Africa fra cui il meteorite NWA 7034 (la seconda più antica meteorite caduta sulla Terra. Il suo studio è importante per capire (dopo la datazione), la struttura e la conformazione chimica della roccia.
La roccia pesa poco meno di un kg e ha le dimensioni di una palla da baseball; la sua datazione risale a 2,1 miliardi di anni fa. La sua caratteristica fondamentale è che contiene minerali con l’acqua 10 volte di più di quanto precedentemente scoperto sui meteoriti marziani.
Lo studio è stato portato avanti dal geologo Carl Agee, con l’Università del New Mexico; “Il fatto che questo meteorite si sia formato quando c’era molta presenza di acqua su Marte, suggerisce che forse l’acqua è rimasta più a lungo di quanto si pensasse o quanto meno ci fa pensare che forse il cambiamento climatico di Marte è stato più lento, come una fase transitoria, piuttosto di una perdita improvvisa di atmosfera e di acqua!” ha detto Agee.
Come altri meteoriti di Marte, NWA 7034, soprannominato “Black Beauty“, contiene anche piccole porzioni di carbonio dovute ai cambiamenti geologici e non ad attività biologiche, ha dichiarato Andrew Steele, che studia meteoriti di Marte alla Carnegie Institution di Washington DC. Tutte le caratteristiche del meteorite NWA 7034 a questo link.
Dal Cosmo è tutto….CIELI SERENI
Francesca