MARTE SI TIENE STRETTO I SUOI SEGRETI

L’immagine è stata scattata dal rover Curiosity nel cratere Gale in prossimità del monte Sharp su Marte. – Credits: NASA JPL

La quasi assenza di composti organici su Marte è stata a lungo un enigma per coloro che cercano la vita possibile sul Pianeta Rosso. Tali composti dovrebbero esistere sopra o vicino alla superficie, se non altro da quando sono stati portati sul suolo marziano con buona probabilità da una cometa. (Come possiamo constatare, per esempio, dai composti organici nei meteoriti marziani trovati sulla Terra ). Ma quando il lander Viking rilevò decenni fa per la prima volta, composti organici come i clorurati su Marte, questi risultati vennero all’epoca interpretati come il frutto della contaminazione terrestre. Solo di recente, con la scoperta di Curiosity Rover di composti organici, è stato accettato che questi sono effettivamente indigeni di Marte, anche se non è ancora chiaro se questi sono di origine biologica.

In un nuovo documento, Wren Montgomery e colleghi dell’Imperial College di Londra, spiegano perché è così difficile individuare composti organici nel suolo marziano. Composti ossidanti come i perclorati, mascherano tutti gli elementi organici indigeni su Marte, dato il metodo attualmente utilizzato per rilevare i composti organici, chiamati pirolisi, che implicano la decomposizione del materiale del suolo ad alte temperature.

Gli scienziati offrono tuttavia una soluzione: suggeriscono di modificare il metodo di rilevazione semplicemente rimuovendo il perclorato con un metodo di estrazione acquoso prima di effettuare la pirolisi. Mostrano che questo ha funzionato in terreni simili dal deserto di Atacama, che contenevano biomarcatori indicativi di cianobatteri. Sulla base della loro esperienza, Montgomery e i suoi collaboratori, raccomandano di riesaminare i precedenti risultati dei test che non mostrano sostanze organiche, o solo piccole quantità, in terreni marziani contenenti alti livelli di composti ossidanti.

Secondo l’astrobiologa Carol Cleland dell’Università del Colorado a Boulder, in realtà invece di cercare di trovare una definizione universale della vita – che non può essere fatta quando conosciamo solo il tipo che esiste sulla Terra – dovremmo cercare anomalie, o fenomeni che “non dovrebbero essere lì” data la nostra attuale comprensione incentrata solo sulla Terra,  per quanto riguarda i processi biologici e non biologici. Solo in questo modo possiamo fare salti nella comprensione di questo argomento che ci sta tanto a cuore, e in realtà avere una possibilità di trovare la vita come non la conosciamo.

Nel suo scritto, la Cleland fornisce diversi esempi: dalla scoperta del pianeta Urano, agli esperimenti di rilevamento della vita dei Viking, dove alcuni progressi sono stati ritardati perché gli scienziati erano “troppo bloccati” nei loro vecchi paradigmi. Di fronte al puzzle di nessuna sostanza organica rilevata (apparentemente) da Viking, lo scienziato del progetto Gerald Soffen insistette dicendo: “Niente corpi, niente vita“.

Come dice Cleland, può essere difficile determinare se un fenomeno così importante su un altro pianeta e se sia il prodotto di un processo biologico o meno. Ma qualsiasi anomalia osservata dovrebbe essere una priorità per ulteriori indagini. La nuova ricerca di Montgomery e colleghi aiuta a spiegare perché è stato così difficile individuare i composti organici su Marte e come questo problema può essere superato nelle future missioni. E questo lo rende un vero passo avanti nel risolvere una delle maggiori questioni scientifiche del nostro tempo.

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(Fonte: airspacemag.com )